Varigotti
«Il mare è una presenza che quando ti entra dentro non si muove più e ti fa compagnia tutta la vita»
Gina Lagorio
«Varigotti è un luogo che ti tocca il cuore. Difficile restarci troppo a lungo, impossibile non ritornarci ogni tanto». Quando ho letto queste righe in Alba Rossa a Punta Crena di Ernesto Camera non le ho capite. Ci ho pensato e ripensato, ma non le sentivo mie. Per me Varigotti nell’ultimo anno è stato una dipendenza. Più ci andavo e più avevo voglia di tornarci, rimanerci. Varigotti è l’isola che non c’è. In molti sensi. Quando sterzi bruscamente il volante a Capo Noli, cambia il mondo. Le rocce si tuffano dritte in mare e sovrastano la strada fino a perdersi nel cielo. Davanti, Punta Crena e la tranquilla baia conosciuta come porto sicuro già dai Romani e insabbiata dai Genovesi. Poi, dopo la galleria, il borgo saraceno. Quando in inverno passi Capo Noli il termometro sale di uno, poi due, tre gradi. A Varigotti gli alberi sono stracolmi di limoni e altri agrumi. Le rocce e l’altopiano delle Manie hanno salvato l’isola dagli scempi edilizi e fanno girare attorno le nuvole. A Finale, a Spotorno, piove, a Varigotti c’è il sole. A Finale arriva il vento freddo del Melogno, a Varigotti le sere d’inverno raramente si scende sotto i dieci gradi. Varigotti non è Liguria. Non è la Liguria che tutti conosciamo. Le case color ocra del borgo sono costruzioni saracene perché qui i Saraceni avevano trovato un porto sicuro, irraggiungibile via terra, mescolandosi con qualche contadino locale. Varigotti è saracena nel profondo del suo spirito, diversa. Ci sono passato per anni per andare a fare il bagno alla spiaggia di Malpasso. Ma se non entri nel borgo, non puoi capire. Poi quando imbocchi via Al Capo, quando non dici di no, ti prende qualcosa nel più profondo del tuo io. È difficile da descrivere, ma ti scava dentro.
Se d’estate fai qualche bracciata verso la punta del molo e ti fermi a guardare quell’infilata di vecchie case di pescatori e il promontorio di Punta Crena con la torre, sembra davvero di essere in un’isola più a sud. A due ore da Milano. In lontananza senti il vocio discreto dei bagnanti della Spiaggia di Cesare Pavese. Quella spiaggia che dista 50 passi dall’uscio di casa. La stessa Spiaggia del lupo di Gina Lagorio. A Varigotti ci sono ancora i cartelli ‘vietato il gioco del calcio’ e bande di piccoli mocciosi si rincorrono a piedi nudi per i vicoli del borgo. La sera le ragazzine organizzano il mercatino delle collanine in piazza Cappello da Prete e i ragazzini quello dei fumetti. Nel 2020.
Ho imparato a capire che tempo fa dal lamento dei gabbiani. Se il cielo è nuvolo, all’alba si fanno sentire. Il verso dei gabbiani è come il mare, ti rimane dentro, è una nènia. Varigotti in estate è mare trasparente e passeggiate appiccicose sul molo nelle sere in cui l’umidità avvolge tutto e l’odore del mare è intenso quanto quello dello zolfo. Varigotti in inverno è un sogno per pochi. Addormentarsi lasciandosi cullare dal rombo delle mareggiate è un pensiero proibito. Le onde si mangiano la spiaggia, gli spruzzi raggiungono i terrazzini e la sabbia entra nei vicoli. Varigotti in estate è nuotare controcorrente al molo, tornando da Punta Crena, dove l’acqua è così verde che sembra finta. Varigotti in inverno è sedersi sul molo a guardare l’alba rossa, intensa come quell’immensa bouganville davanti alla bottega di Gigi, il barbiere. Mettersi alla fine dei vicoli e vedere le onde che ti arrivano fin sotto i piedi, come su una barca. Varigotti in inverno è arrivare tardi la sera, sentire il tepore dell’aria, infilarsi nei vicoli dove parla solo il sibilo del vento, arrivare al molo. E stare in silenzio ad ascoltare il mare sotto un tappeto di stelle. Basta poco. Capisci che la felicità è una cosa semplice e istantanea. Capisci che Ernesto Camera ha ragione: Varigotti è un posto dove si vive ogni attimo tanto intensamente da rendere difficile restarci a lungo. Ma chi ci riesce è un uomo fortunato. O sfortunato se vive a due ore dall’isola che non c’è.